lunedì 3 novembre 2008

In fase trasloco

Il blog si rinnova. Dopo un anno e qualcosa di permanenza sulla piattaforma Blogger, il Patassa emigra. Non vi preoccupate, tutte le recensioni scritte fin ora sono già state impacchettate, trasportate e riordinate nella "nuova casa". Anche se in fase di allestimento, vi linko il nuovo indirizzo, entro il fine settimana verrà inaugurato: http://patassa.wordpress.com/
Quindi aspettatevi a breve l'invito ufficiale del Patassa versione 2.0, un salut' a tutti.

lunedì 27 ottobre 2008

Pillola #7

«Mica parlo di razzismo io», mi dice sbuffando il fumo della sigaretta con forza, quasi volesse spingerlo oltre quel muretto, quella strada, quel quartiere. Alessandro, per tutti Ale, è un uomo di quindici anni, ha il motorino e un casco sommerso di dediche, «una di queste è quella della mia ragazza, però mica ti dico qual è», sembra quasi una sfida. La storia del cinese pestato non gli va giù. Anche il resto della comitiva la pensa come lui, il razzismo non c’entra proprio niente. Allora cos’è? A questa domanda gli occhi di Ale si spengono, ma solo un attimo, un brevissimo istante, devi essere capace di coglierlo quel momento perché, dicono, è lì che si manifesta al meglio l’essenza dell’adolescente di oggi. «E’ altro, non so come spiegarti». Una sua amica dice che ci sono troppi stranieri e che, pur apprezzando Che Guevara a lei, i romeni, proprio non piacciono. «C’ha pure il postere del Che in cameretta» dice Ale e la ragazza, imbarazzata recupera dicendo che però alle elezioni ha votato Fini. E del cinese ricoverato? «Boh» rispondono in coro. Boh rispondono le mura dei palazzi annerite dalla notte.

giovedì 23 ottobre 2008

Gli interessi superano il numero di Dunbar?


Ho ricevuto diverse considerazioni sul post scritto un po’ di giorni fa sul numero di Dunbar applicato a Facebook. In questi giorni si parla molto del “libro faccia” addirittura, stando alle ultime statistiche, il mondo dei social network ha superato in numero di click il pianeta del porno connesso in rete. In Italia negli ultimi mesi Facebook ha raccolto a sé un numero di contatti sempre in crescita. Anche nel nostro paese, il concetto di social network si sta definitivamente affermando (in Usa è già da tempo diffuso). L’uso dei social network è una pratica di condivisione si, di aspetti futili (spam contenenti cose più o meno simpatiche, ma che hanno effettivamente scarso valore, anch’io consumo e ogni tanto produco spam, lo ammetto), ma ci può essere un uso più “intelligente” degli strumenti offerti da Facebook. Un esempio, la condivisione di interessi in comune. Mi spiego, e se un social network così altamente frequentato venisse utilizzato per la diffusione di contenuti ai quali altri “interessati” potrebbero fruirne? In Facebook le reti che si vengono a strutturare tra gli utenti si basano sulle amicizie, conoscenze, relazioni più o meno già instaurate al di fuori dello schermo del pc; ma si potrebbero basare anche sulla condivisione di un interesse in comune, io ho già quattro contatti nati esclusivamente dalla passione per la letteratura. Una rete basata su un interesse e non su una conoscenza. Quindi la rete potrebbe espandersi notevolmente, superare di gran lunga il numero massimo dei 150 membri fissato dall’antropologo Dunbar. Questa regola dei 150 si basa sull’analisi di un villaggio, dove si tesse una rete di relazioni fondata su esigenze personali e obiettivi in comune diversi da quelle reti costruite intorno ad un interesse specifico. Forse il limite di Facebook è la sua generalizzazione (che però rappresenta una chiave di lettura per spiegare la sua popolarità), ovvero l’assenza di base di qualsiasi specializzazione nell’incentivare la socializzazione. Un social network specializzato come aNobii, basato sull’interesse della lettura, è l’esempio di una rete fondata sui libri, quindi specifica, dove tutti gli utenti mettono in condivisione le proprie esperienze di lettura. In Facebook questo non è immediato, bisogna impegnarsi a costruire una propria rete e magari utilizzarla per diffondere cose che ad altri interessano.

lunedì 20 ottobre 2008

La verità della città di K.


Lucas e Mathias sono due fratelli scaraventati a casa della nonna perché la guerra sta arrivando in città, la madre teme per la loro incolumità. Vanno a vivere in campagna, vicino la città di K. E’ la nonna che li prende a sé, ma li chiama “figli di cagna”, non li vuole tra i piedi, sono un peso. Il nonno è morto da tempo tutti, in paese, conoscono il motivo per cui è morto, avvelenamento, ma la nonna ha sempre negato. I due fratellini si fanno coraggio, e dopo i primi giorni difficili decidono di “esercitarsi” a non sentite più nostalgia della madre, di non provare più dolore fisico, di non soffrire più la fame: di non provare più nulla. E mentre i primi colpi di tosse della guerra pian piano si trasformano in tuoni capaci di far tremare pure l’anima, Lucas e Mathias si irrobustiscono, uccidono animali per non provare paura nell’uccidere, si picchiano a tal punto di superare la soglia del dolore, si rendono utili nel lavoro in campagna, raccontano tutto in un quaderno, ogni aspetto della giornata è riportato nella cronaca della loro vita. Le azioni dei due fratelli, i pensieri addirittura, sembrano partire da un unico corpo, una sincronia perfetta, a volte raggelante. Ma poi la guerra cala nel delirio, urla di donne a cui hanno strappato la loro intimità, corpi mozzati, case bruciate, soldati ubriachi, canti di gioia dei militari “liberatori” che si scatenano nelle osterie, i due fratelli assistono a tutto questo senza interpretare, senza conservare quelle immagini, semplicemente vivendo.
E se tutto quello scritto finora fosse solo una “grande menzogna”? Uno dei due fratelli non esiste, la campagna, i personaggi che popolano la città di K. e le storie che ruotano attorno ad essi sono solo il frutto di una grande, seppur realissima menzogna.
Trilogia della città di K. di Agota Kristof è un libro bellissimo ed allo stesso tempo terribile. E’ come poggiare i gomiti su un piano instabile. Ogni volta la superficie si ribalta, mostrando ora un lato della storia, ora un altro. Quale, tra questi due, è il lato “giusto” il lettore non può comprenderlo, ma può, al contrario, lasciarsi trasportare da una scrittura asciutta, diretta, priva di sfumature, composta solamente da immagini vivide, dai contorni netti ed affilati. Solo la guerra, a pensarci bene, è ciò che rimane: l’elemento di continuità tra un cortocircuito narrativo e l’altro. Tutte le storie, di tutti gli uomini, per quanto differenti nelle loro personali vicende, sembrano essere marchiate da un comune segno, quello della guerra. Lucas e Mathias, allora, altro non sono che testimoni delle vicende corali che la città di K. ha vissuto, se poi i due fratelli siano realmente vissuti questo, la città di K., non può dirlo. Neanche le pagine del libro possono farlo. E quando neanche la scrittura porta con sé la verità, allora chi può negare veramente l’esistenza dei due fratelli, Lucas e Mathias, durante la guerra che colpì la città di K.?

domenica 19 ottobre 2008

Pillola #6

Il ballerino punta dritto un’auto ferma al semaforo. Fa una piroetta, un mezzo giro sulle punte, poi srotola le lunghe braccia teatralmente abbozzando un sorriso sarcastico. L’automobilista, impassibile, getta gli occhi negli stop accessi di quello davanti. Allora il ballerino, sistemandosi la calzamaglia originariamente bianca, lo manda a fanculo puntando l’indice sul tergicristallo destro, mica su quello in macchina. C’è una bella differenza.

mercoledì 15 ottobre 2008

Un'occasione in più per conoscere

Il secondo capitolo è chiuso, ora aspetto le dovute correzioni, intanto il primo capitolo (dopo alcune modifiche) è finito. Sto lavorando al terzo ed ultimo capitolo, forse il più interessante e divertente. Ci sono un pò di contributi come quello di Vanni Santoni e un membro del collettivo di scrittori Kai Zen. Descriverò le diverse forme di narrazione in rete sopratutto nell'ambiente italiano, e i risultati sono molto concreti: in Italia si racconta tanto ed Internet rappresenta uno strumento sempre più importante per questo tipo di narrazione. Buona parte delle fondamenta del capitolo sono costituite dalle intuizioni di Henry Jenkins che, con il suo libro Cultura convergente, rappresenta un capo saldo dello studio sulla narrazione (partecipativa, individuale, fandom ecc...).
Ma il lavoro in questi giorni mi sta riservando anche altre sorprese. Grazie ad aNobii (il social network dei libri) sono venuto a contatto con Sempreinbilico, un pò per affinità librarie, un pò perchè il suo blog è davvero interessante e piacevole da leggere. Ora, da qualche messaggio su aNobii si è passati ad uno scambio epistolare con la mail, ci si è raccontati cosa facciamo, io le ho descritto il mio lavoro di tesi (supportato anche grazie al blog, dove è possibile leggerne gli sviluppi). Esce fuori che Sempreinbilico ha scritto un libro, estratti del suo blog raccolti in Vergine forever. Lei me lo manda per posta, ora è qui sulla scrivania, leggerò il libro e scriverò un mio parere su questo blog: tutto questo grazie alla rete. Come avrei potuto conoscere Sempreinbilico e la sua storia? Internet è l'occasione in più per conoscere e si aggiunge alle altre risorse informative a nostra disposizione forse, la differenza, sta nel fatto che con il web i contatti viaggiano lungo assi orizzontali, dove la comunicazione non è mediata, ma diretta e personale. Del libro vi farò sapere. Ah, dimenticavo, a presto una recensione molto sentita (da tempo non leggevo un romanzo così bello). Qual'è il libro in questione? Un pò di pazienza e scrivo tutto. Salut'.

giovedì 9 ottobre 2008

Penultimi


Felice che il primio capitolo sia stato nel complesso giudicato un buon lavoro (dovrò porre delle modifiche, i know), ora sto terminando il primo paragrafo del secondo capitolo. Mi sto concentrando sul rapporto marketing e Internet, riportando diversi studi statistici riguardo la diffusione della rete e, di conseguenza, delle sue forme comunicative. La parola d'ordine è conversazione e non semplice messaggio.
Nelle ricerche che sto effettuando è strano leggere il report pubblicato da Nielsen, riguardo il rapporto pubblicità e consumatore e, più precisamente, quanto i consumatori credono alla pubblicità. L'Italia è al penultimo posto di una classifica abbastanza numerosa. Col 32%, gli italiani si mostrano sostanzialmente scettici nei confronti della pubblicità, dopo di noi i danesi con il 28%. E' strano perchè questo è il paese della pubblicità, in fondo l'attuale primo ministro viene da quell'ambiente ed ha fatto le sue fortune grazie agli spot televisivi. Forse gli italiani si sono stufati della pubblicità in quanto tale: flusso continuo che, per quanto riguarda la televisione (il media più consumato dagli italiani), tiene in ostaggio i poveri telespettatori. Il nostro servizio pubblico, la Rai, per combattere una concorrenza agguerrita con l'emittenza privata, Mediaset, si è abbassata alla commercializzazione forsennata (perdendo il ruolo di servizio pubblico, ovvero lontano da logica commerciali e più vicino alle esigenze dei cittadini) rinunciando alla qualità a favore della sopravvivenza. Non è un caso che la tv satellitare stia registrando numeri sempre più importanti. Forse in Italia la televisione sta perdendo, o ha perso del tutto.
Tiro un sospiro di sollievo quando penso che c'è Internet. Davvero.